La Corte europea dei diritti dell’uomo con sentenza del 18 maggio scorso (ricorso n. 71552/17 –Valdís e altri contro Islanda) ha riconosciuto la legittimità del rifiuto, opposto da parte delle autorità islandesi ad una coppia di donne, di riconoscere la genitorialità su un bambino nato negli Stati Uniti a seguito di maternità surrogata e senza alcun legame genetico con la coppia.
La Corte, dopo aver sottolineato che in Islanda la surrogazione di maternità è una pratica vietata e perseguita penalmente, ha affermato che il rifiuto di riconoscimento della genitorialità non viola il diritto al rispetto della vita familiare, sancito dall’art. 8 della Convezione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo. In base alla legge islandese, soltanto la donna che partorisce il bambino, concepito con fecondazione assistita, può essere considerata madre e nel caso di specie né l’una né l’altra donna avevano un legame biologico con il bambino.
Inoltre, il divieto di surrogazione di maternità, sancito dalla legge islandese, risponde all’esigenza di proteggere, da un lato, l’interesse delle donne che potrebbero essere costrette a sottoporsi a questa pratica, dall’altro lato, i diritti dei bambini di conoscere i propri genitori naturali. Dunque il rifiuto di riconoscere le ricorrenti come genitori persegue uno scopo legittimo, ossia quello di tutelare diritti e libertà di altri. Peraltro, gli Stati membri godono di un ampio margine di discrezionalità in questa delicata materia, che solleva questioni di ordine morale ed etico, su cui non si registra un consenso tra gli Stati europei. La Corte ha, quindi, concluso che lo Stato islandese, negando il riconoscimento della genitorialità alle ricorrenti, ha legittimamente esercitato questo potere discrezionale, con lo scopo di tutelare il divieto di maternità surrogata.